Una visione della Rete, che si potrebbe definire ormai “storica”, è quella di chi rivendica la libertà di espressione e si oppone a ogni censura. Un’altra, emersa con il passare degli anni e con l’aumento del numero delle persone connesse, è quella di chi subisce maggiormente l’influenza dei mezzi di comunicazione di massa (e quindi della stessa Internet) e delle loro mistificazioni.
Queste due diverse visioni convivono ancora oggi anche se con crescente difficoltà a quanto si può constatare dal periodico ritorno tra i temi maggiormente discussi di quello riguardante il controllo e la veridicità di quanto viene pubblicato sul web.
Prima che esistesse Internet la diffusione delle notizie false era, per ovvie ragioni, una esclusiva di giornali, radio e televisione che, nel corso della loro storia, non sono certo stati sempre un esempio di comunicazione corretta e veritiera. Anche nei documenti, nei libri e nelle enciclopedie l’errore marchiano e il falso clamoroso sono sempre stati presenti, per cui è assurdo considerarli una esclusiva della comunicazione elettronica.
A queste banali considerazioni bisogna aggingere quelle sull’importanza del contesto. Da sempre nei titoli di coda dei film compare una dicitura del genere: “questa è un’opera di fantasia, qualsiasi riferimento a fatti o persone realmente esistite o esistenti è puramente casuale” e nessuno si sognerebbe di gridare al falso guardando sullo schermo una storia dove i giapponesi vincono la Seconda Guerra mondiale. Su Internet invece le cose sembrano alquanto più complicate.
Prendiamo a esempio l’onnipresente “social media” chiamato “Facebook” che permette di pubblicare in tempo reale scritti e immagini. La pubblicazione sembra completamente libera, salvo che - ma solo a posteriori - i gestori della piattaforma possono decidere di eliminare (ma potrebbero anche modificare) a loro discrezione qualsiasi contenuto pubblicato. In casi del genere viene messo in atto un comportamento chiaramente opportunistico. Se qualcuno protesta per qualcosa che è stato pubblicato i gestori ribattono che loro non censurano niente, mentre in realtà lo fanno quotidianamente per i contenuti che violano le loro regole o quando gli viene ordinato dalla magistratura. Trattandosi di una impresa commerciale il loro scopo principale è cercare di mantenere un equilibrio ottimale tra censura e libertà. Aumentare la prima porterebbe alla perdita di “utenti/clienti”, aumentare la seconda a problemi di tipo legale.
Negli ultimi tempi molti politici, opinionisti e organi di informazione hanno insistito nel segnalare la diffusione delle cosiddette “bufale” sul web che, insieme alle notizie false, agli incitamenti all’odio e alle diffamazioni costituirebbero attualmente il più grande problema di Internet. Mettere in uno stesso calderone tutte queste cose è solo un comodo sistema per giustificare un maggiore controllo sulla libertà di informazione e comunicazione.
Le “bufale”, assimilabili nella maggior parte dei casi a quelle che gli anglofoni chiamano “hoax” sono presenti in Rete fin dalla sua creazione e sono quasi sempre riconoscibili, chi ci casca dimostra solo di essere un po’ più ingenuo degli altri. E non bisogna dimenticare che, spesso, i mezzi di comunicazione si sono dimostrati ancora più sprovveduti dei singoli. Per esempio resta nella storia della Internet italiana il caso dei “gattini in bottiglia” (kitten bonsai) che nel 2000 segnò la prima delle tante brutte figure fatte dai quotidiani italiani che ripubblicarono, spacciandole per vere, le informazioni trovate su un sito web a sfondo satirico.
Più scivoloso il campo quando si tratta di argomenti che sembrano avere una base di verità, come la leggenda delle “scie chimiche”, che continuano ad appassionare non solo i complottisti ma anche i poco informati. Le stesse notizie false, che tanto preoccupano i politici, sono individuabili da chiunque abbia una minima conoscenza di Internet e non crede, senza verificare direttamente, a tutto quello che legge (in Rete o fuori) e per questo non occorre ricorrere alla polizia postale o ai maghi del computer.
Mentre, per quanto riguarda i reati di diffamazione, il problema resta quello della responsabilità di chi gestisce il sito dove è avvenuta, in quanto già da molto tempo i colpevoli di questo reato vengono regolarmente condannati.
Diverso è il caso della disinformazione, da sempre, strumento degli Stati e dei loro apparati più o meno segreti e che meriterebbe da sola un lungo discorso a parte. La recente storiella riguardante l’attacco di “hacker russi” agli USA in occasione delle elezioni presidenziali è un ottimo esempio del suo funzionamento.
L’avvento di Internet ha sicuramente contribuito a diffondere in modo capillare informazioni “quasi” vere, documenti probabilmente segreti e teorie basate sul nulla. Tutte cose che prima erano veicolate da pubblicazioni specializzate o più semplicemente tramite il passaparola e che restavano quindi circoscritte in un piccolo ambito.
Nel 1729 Jonathan Swift scrisse “Una modesta proposta per impedire che i bambini irlandesi siano a carico dei loro genitori o del loro paese e per renderli utili alla comunità”. Per far fronte alla dilagante povertà della popolazione irlandese e al rapido incremento del numero dei poveri, veniva consigliato di usare come cibo i bambini al di sotto di un anno di età. Il testo contiene un’analisi dell’economicità della proposta e si addentra anche in particolari, per così dire, gastronomici. Quasi tre secoli dopo se qualcuno pubblicasse su un sito web una proposta del genere, magari corredata con dei fotomontaggi di bambini allo spiedo, rischierebbe certamente di passare guai ben peggiori di quelli avuti a suo tempo dallo scrittore irlandese.
Pepsy